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sabato 30 gennaio 2016

Stazzema, storia dei fascisti che aiutarono le SS: "Travestiti, ma li tradì l'accento"



Dopo la fine della guerra l'ex caporale americano riconosce in un ufficio postale il partigiano che aveva tradito il paese di Sant'Anna di Stazzema consegnandolo ai tedeschi . Brutta storia di collaborazionisti nazisti in un cruento eccidio di vecchi, donne e bambini.

Miracolo a Sant'Anna (film)

Trama


Le indagini su un omicidio compiuto in un ufficio postale di New York, sono lo spunto per raccontare la storia di quattro soldati di una compagnia di afroamericani appartenente alla 92ª Divisione Buffalo che combatté nella Campagna d'Italia lungo la linea gotica. Il soldato Sam Train, che ha raccolto una misteriosa testa marmorea a Firenze, salva un bambino, Angelo Torancelli, orfano dei genitori, uccisi da militari nazisti.
Sam Train decide di portare con sé il bambino, che seguirà lui e gli altri commilitoni. La storia si dipana sulle montagne apuane, tra Sant'Anna, il fiume Serchio e le montagne. Le storie della gente comune si intrecciano con quelle dei partigiani, dei soldati americani e tedeschi e dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema, antecedente alle vicende del film, ma collegato ad esso. L'eccidio ebbe luogo il 12 agosto 1944, quando le SS uccisero più di 500 persone, in maggior parte donne e bambini.
Nel film si sostiene che l'eccidio sia la conseguenza di una rappresaglia, e che tutto sia successo per il tradimento di un partigiano, Rodolfo. Alla fine, dopo un aspro combattimento nel paesino che ospitava i quattro soldati della Buffalo, si salveranno soltanto un caporale, Hector Negron, che salverà anche la testa marmorea e il piccolo Angelo.
Il film torna quindi in epoca contemporanea, dove il caporale Hector Negron è sotto processo per l'omicidio dell'ex-partigiano Rodolfo, casualmente comparso davanti ai suoi occhi nell'ufficio postale dove lavorava, e verrà liberato su cauzione grazie all'intervento di Angelo Torancelli, ora diventato un multimiliardario. La testa si scoprirà essere quella della Primavera del Ponte Santa Trinita a Firenze, effettivamente scomparsa nel 1944 e ritrovata solo nel 1961.

  

ilfattoquotidiano.it

Stazzema, storia dei fascisti che aiutarono le SS: "Travestiti, ma li tradì l'accento"


di Ilaria Lonigro

stazzema 905
La piazza del paese dove avvenne l'eccidio




  
C’erano anche gli italiani con le SS a Sant’Anna di Stazzema. Non solo i civili costretti a portare di notte, lungo i tornanti, il peso delle munizioni fino al paese della Versilia e, una volta assolto il compito, fucilati. Ma anche i volontari. Alcuni, arruolati regolarmente nella divisione, non si distinguevano dai tedeschi, perché portavano la divisa; altri, i fascisti locali, giunsero a Sant’Anna con gli abiti civili e il volto coperto per non farsi riconoscere. Dimenticarono però di camuffare la voce. E il loro accento, i santannini lo ricordano ancora.
 
C’erano anche gli italiani nella 16esima divisione corazzata. Un pensiero che, a distanza di 71 anni, non dà pace a uno dei superstiti, Enio Mancini. Nelle retrovie della divisione, composta in gran parte da ragazzi tra i 17 e i 20 anni e che contava in totale tra i 10mila e i 12mila uomini, gli italiani erano quasi la metà. Lo confermarono, dopo la guerra, il generale Max Simon, ufficiale dell SS, e Frederich Knorr, comandante dei servizi della divisione. Tra i nostri connazionali, alcuni erano stati reclutati dai campi di concentramento, altri arruolati come volontari, altri ancora venivano dall’esercito italiano, disciolto dopo l’8 settembre. Lo storico Carlo Gentile, tra gli esperti chiamati a deporre nel processo del tribunale militare di La Spezia, ha individuato 25 repubblichini arruolati nella 16esima divisione Reichsführer, per gradi che andavano dai soldati scelti ai sergenti.
 
I “più viscidi”, nei ricordi dei superstiti, erano però i collaborazionisti locali. Furono loro, con ogni probabilità, a condurre le quattro colonne a Sant’Anna. Circondarono il paesino da ogni lato, bloccando ogni via di fuga. Arrivarono all’alba, passando per vie impervie e sconosciute se non ai versiliesi. Del resto Mauro Pieri, Genoveffa Moriconi, Lilia Pardini, Enio Mancini, Renato Bonuccelli, Ada Battistini e molti altri superstiti hanno detto e ripetuto con assoluta certezza di aver sentito parlare in versiliese quella mattina. Nel 1945, a meno di un anno dall’eccidio, lo scrittore Manlio Cancogni, classe 1916, scriveva sulla Nazione del Popolo: “Dei nomi, uno sopra tutti, girano da tempo sulle bocche degli abitanti dell’intera regione e ci si aspetta, forse invano, che prove definitive confermino la verità del sospetto”.
 
Tra gli accusati di collaborazionismo, c’era Aleramo Garibaldi, che, come ammise alla commissione statunitense che fece le indagini subito dopo i fatti, aveva portato le armi a Sant’Anna, ma negò qualsiasi coinvolgimento attivo. Dopo la guerra, però, una superstite, Maria Luisa Ghilarducci, riconobbe in lui l’uomo che aveva azionato la mitragliatrice contro il suo gruppo. Garibaldi fu scagionato dal fatto che a Sant’Anna furono uccise anche sua moglie e le sue due figlie, che infatti figurano nell’elenco delle vittime. 

Ma i sospetti su di lui non sono mai stati cancellati. Al contrario di altri portatori, una volta a Sant’Anna Garibaldi non fu fucilato. Anzi, gli fu dato un lasciapassare tedesco per entrare e uscire dalla città. Tra gli altri presunti collaborazionisti citati nel corso degli anni figurano anche Francesco Gatti ed Egisto Cipriani. Nessuno però fu mai condannato, per insufficienza di prove. A dare il colpo di spugna nel 1946, fu l’amnistia firmata dall’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, con cui il guardasigilli, in un primo tentativo di pacificazione, condonò i reati di collaborazionismo e di concorso in omicidio compiuti dopo l’8 settembre.
 
Sant’Anna non è stata l’unica strage nazista che porta il marchio dei collaborazionisti. In altri casi, intervennero, a fianco dei nazisti, vere e proprie formazioni fasciste, come la Decima Mas a Guadine e a Forno, la Brigata Nera Apuana a Vinca e a Bergiola, la Brigata Nera di Lucca in Garfagnana e a Camaiore.

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